di Alberto Leiss
(testo letto all’agorà del 27 maggio 2013)
Purtroppo non posso essere presente alla riunione di oggi. Provo comunque a rispondere brevemente alle domande che sono state poste nell’invito:
1) La mia critica è soprattutto un’autocritica: l’agorà era nata come luogo voluto e anche in parte pensato da donne e uomini, tra cui io. La partecipazione maschile invece è stata molto scarsa. Per quanto mi riguarda ha certo pesato la distanza geografica e altri impegni politici e di lavoro. Però è una domanda che dobbiamo farci. Io la rivolgo esplicitamente anche agli altri uomini che avevano condiviso questo percorso, in particolare Sergio Bologna e Andrea Fumagalli.
Uno degli aspetti a cui ho pensato è questo: se la politica fondata sulla relazione e la differenza è la politica di cui c’è bisogno oggi per tutti e tutte è fondamentale ripartire da luoghi e pratiche, come l’Agorà, che si propongono di elaborare appunto nuove pratiche e una nuova soggettività consapevole.
Mi chiedo se non si debba provare a agire per attribuire a questi luoghi anche il ruolo di momenti di azione e di organizzazione, oltre che di riconoscimento e di scambio, per agire nuove forme di conflitto sul terreno della trasformazione del lavoro e della vita. Facendone luoghi di incontro in determinati territori (per es la città di Milano, o anche alcuni suoi quartieri) delle figure sociali diverse che vivono il lavoro e la “cura del vivere” spesso con sofferenza e senso di scacco, con desideri che non trovano pratiche, senza strumenti di rappresentanza e di rappresentazione e auto rappresentazione. Chiamando al confronto anche i soggetti sindacali, politici e istituzionali in un momento in cui tutti questi soggetti vivono una grave crisi del loro ruolo.
2) A me sembra di sì
3) Su questo non ho elementi di conoscenza diretta per rispondere. La spinta su cui era stata eletta la nuova giunta Pisapia – insieme a altre esperienze simili e dopo la vittoria dei referendum su acqua ecc – mi pare un po’ persa. Sostituita dal successo grillino sul quale bisognerebbe riflettere in modo approfondito e magari cercare uno scambio.
4) Mi pare che in modo consapevole o meno consapevole la discussione sui nessi tra lavoro e vita, tra produzione e riproduzione, tra pubblico/privato e personale/politico e sul welfare (tra l’altro si moltiplicano le intese sindacali, più o meno “ufficiali”, sulla gestione di welfare aziendale) sta sempre più attraversando anche un discorso pubblico gravemente condizionato e distorto dalla situazione di perdita di autorità che vivono il ceto politico e quello dell’informazione, agganciati specularmente in una spirale regressiva. Mi sembra necessario, desiderabile, impegnarsi per dar vita a pratiche politiche che leghino la ricerca della soggettività all’azione politica e all’intervento sul linguaggio anche per cambiare il più possibile la mancanza di senso (o la presenza di distorsioni e falsità variamente strumentali) che informa tanta parte del discorso pubblico.
A Milano la relazione con Macao mi ha fatto pensare che anche su questo terreno linguistico potrebbe essere tentata la strada di uno scambio produttivo.